Prose di M. Pietro Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua scritte al cardinale de Medici che poi è stato creato a sommo pontefice et detto papa Clemente settimo divise in tre libri

Autore: BEMBO, Pietro (1470-1547)

Tipografo: Tacuino Giovanni

Dati tipografici: Venezia, 1525

Formato: in folio

In folio (mm. 304x216). Cc. XCIIII [i.e. 95]. Manca l'ultima carta bianca. Segnatura: A-Q6. Titolo stampato al verso del primo foglio. Colophon alla carta Q5v. Note marginali (per lo più correzioni ed integrazioni al testo) e sottolineature manoscritte coeve. Al contropiatto anteriore ex-libris nobiliare settecentesco del Conte della Trinità inciso in rame da Stagnon e nota manoscritta “Bonne edition, rare, et recherchée. V. Osmont T. I. p. 91”; al contropiatto posteriore altra nota, vergata in inchiostro rosso e marrone, “5253 p.l. 6 Haym. 181=2. prima edizione”. Cartone coevo con tre nervi passanti in pergamena, titolo manoscritto sul dorso e sul piatto anteriore. Qualche lieve alone e macchia marginale, ma bellissima copia a grandi margini nel suo cartonato originale.

PRIMA EDIZIONE. Essendo l'opera protetta da un privilegio di stampa della durata di dieci anni, poco dopo la sua uscita apparve un'edizione contraffatta, in tutto identica all'originale, salvo che per le seguenti caratteristiche: a carta G6r, riga 22, l'edizione originale presenta il refuso “altre” per “arte” corretto a margine con una nota manoscritta, mentre la contraffazione reca la correzione a stampa nel testo; lo specchio di stampa della contraffazione è lievemente più stretto (mm. 200x121 invece di mm. 200x123); nel colophon la contraffazione banalizza il corretto “le stampino” in “la stampino”; la filigrana della contraffazione (cappello ecclesiastico sormontato da un fiore e contromarca d'angolo “A”) differisce da quella dell'edizione originale (cappello ecclesiastico sormontato da una croce senza nessuna contromarca d'angolo) (cf. P. Bembo, Prose della volgar lingua. L'editio princeps del 1525 riscontrata con l'autografo Vaticano latino 3210, edizione critica a cura di C. Vela, Bologna, 2001, pp. LVII-LXIV).

Per differenziarsi dalle Regole grammaticali della volgar lingua (1516) di Giovanni Francesco Fortunio, prima grammatica della lingua italiana a stampa, Bembo volle presentare le sue Prose della volgar lingua come un testo di piacevole lettura, una sorta di conversazione linguistica, i cui interlocutori, Carlo Bembo, Giuliano de' Medici e Federico Fregoso, hanno il compito di convincere il latinista Ercole Strozzi ad abbracciare il volgare. Dal momento che quest'ultimo si mostra persuaso piuttosto rapidamente, l'opera da suasoria si trasforma in didattica, passando ad insegnare le regole del bello scrivere in italiano. Al momento della pubblicazione del volume i quattro protagonisti delle Prose erano già tutti morti. Bembo finge che l'opera sia stata composta intorno al 1516, mentre il dialogo è ambientato a Venezia nel 1502. In realtà la redazione dell'opera si protrasse per molti anni: la stesura definitiva del testo, comprensivo del terzo ed ultimo libro, cominciò probabilmente nel 1522.

Partendo dall'assioma che “non si può dire che sia veramente lingua alcuna favella che non ha scrittore” (p. XIV), Bembo si pose l'obiettivo non solo di fornire una grammatica dell'italiano, ma anche, grazie ad un'ampia esemplificazione di modi e parole tratte per lo più dalle Tre Corone del Trecento (Dante, Petrarca e Boccaccio), di creare una lingua letteraria comune, che avesse la stessa dignità ed eleganza del latino. Le Prose possono quindi essere considerate come l'atto fondativo della coscienza critica della tradizione letteraria italiana. Grazie all'enorme successo (dalla scadenza del privilegio fino alla fine del secolo apparvero oltre venti edizioni), si imposero nel Cinquecento come manuale di scrittura in volgare e posero la letteratura italiana all'attenzione della cultura umanistica, fino ad allora intrisa quasi esclusivamente di latino. Grazie anche al successivo sostegno del Vocabolario della Crusca, le Prose contribuirono all'unificazione linguistica dell'Italia, che all'epoca era solamente un concetto geografico, nel segno di quella aulicità arcaizzante, che nei secoli seguenti avrebbe toccato punte di parossismo. Non era certo questo l'intento originario del Bembo.

Pietro Bembo nacque a Venezia nel 1470 da una nobile famiglia. Avviato dal padre Bernardo agli studi umanistici, si perfezionò a Messina (1492-1494), alla scuola del greco Lascaris. Tornato a Venezia, collaborò al programma editoriale e culturale di Aldo Manuzio. Durante un soggiorno ferrerase conobbe e amò, ricambiato, Lucrezia Borgia (1480-1519), moglie di Alfonso I d'Este. A lei dedicò gli Asolani, oltre che numerose lettere e rime. Tra il 1506 e il 1512 fu alla corte di Urbino, quindi si trasferì a Roma, dove nel 1513 divenne segretario di Leo X. Nel 1519 fece ritorno in Veneto, stabilendosi a Padova, dove si dedicò alla stesura definitiva delle Prose della volgar lingua e alla raccolta delle Rime. Nel 1530 fu nominato storiografo della repubblica veneta e bibliotecaro della Libreria Nicena (la futura Biblioteca Marciana) di Venezia. Ormai famoso, nel 1539 ottenne il cardinalato, nel 1541 il vescovato di Gubbio, nel 1544 quello di Bergamo. Negli ultimi tempi risiedette quasi sempre a Roma, dedicandosi all'edizione delle sue opere. Morì a Roma nel 1547.

Bembo esordì con un breve dialogo, il De Aetna (1496), frutto di un soggiorno ai piedi dell'Etna e dei suoi interessi scientifico-umanistici, sull'esempio delle Castigationes plinianae di E. Barbaro. Le sue prime opere importanti furono le edizioni aldine di Petrarca (1501) e di Dante (1502). Nel 1505, sempre prosso i torchi veneziani del Manuzio, pubblicò il celebre dialogo sull'amore neoplatonico, Gli Asolani. Le Rime furono composte a varie riprese e pubblicate nel 1530. Qui Bembo mostra la sua ammirazione per Petrarca e la sua cosciente e progressiva assimilazione della lingua, dello stile e delle situazioni sentimentali del Canzoniere. Bembo pubblicò anche il trattato De imitatione, la Historia veneta, che copre il periodo che va dal 1487 al 1513 e che lui stesso poi tradusse in italiano, ed un ricco epistolario, che include anche il giovanile carteggio amoroso con Maria Savorgnan (cfr. C. Kidwell, Pietro Bembo: lover, linguist, cardinal, Montréal, 2004, passim).

Edit 16, CNCE4997; BMSTC Italian, p. 81. Gamba, nr. 136.


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