Delle lettere facete et piacevoli di diversi huomini grandi et chiari, & begli ingegni. Raccolte per M. Dionigi Atanagi, libro primo. Riveduto, scelto, & corretto dal medesimo & con somma diligenza ristampato. (Insieme con:) TURCHI, Francesco (1515-1599). Delle lettere facete, et piacevoli, di diversi huomini grandi, et chiari & begli ingegni. Scritte sopra diverse materie. Raccolte per M. Francesco Turchi. Libro secondo

Autore: ATANAGI, Dionigi (1504-1573)

Tipografo: Altobello Salicato

Dati tipografici: Venezia, 1601


Due parti in un volume in 8vo (mm. 160x106). Pp. [20], 438, [2]; [16], 575, [1]. Segnatura: †8 ††2 A-DD8 EE4; *8 A-NN8. Marca tipografica ai frontespizi. Frontalini e capilettera xilografici. Mezza pergamena con punte di inizio Novecento, doppio tassello al dorso riportante titolo, autore, data e luogo di edizione, piatti rivestiti di carta colorata. Qualche lieve alone marginale, piccole mancanze al margine bianco di alcune carte senza danno. Bel esemplare intonso con barbe.

 

PRIMA EDIZIONE COLLETTIVA. L'antologia Delle Lettere facete di Dionigi Atanagi fu pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1561. Atanagi aveva progettato un secondo libro, ma il lavoro fu interrotto dalla sua morte nel 1573. Il materiale da lui raccolto fu pubblicato due anni dopo, nel 1575, da Francesco Turchi per conto di Aldo Manuzio. Entrambi i volumi furono stampati insieme per la prima volta a Venezia da Altobello Salicato nel 1601.

Entrambi i libri furono inoltre inseriti nell'Indice di Parma del 1580, ma non in quelli pubblicati a Roma nel 1590 e nel 1593 (cfr. J.M. Bujanda, R. Davignon, E. Stanek, M. Richter, eds., Index de Rome: 1590, 1593, 1596, avec étude des index de Parme 1580 et Munich 1582, Sherbrooke, 1994, p. 151, no. 354).

Il primo volume contiene 183 lettere raggruppate per autori e disposte in ordine cronologico. La maggior parte delle lettere è datata tra il 1507 e il 1558.

Il volume contiene anche l'unica edizione cinquecentesca di un testo satirico sulla Roma di Paolo III di Jacopo Bonfadio (1508-1550 ca.), che qui compare con il titolo Al Furfante Re della Furfantissima Furfanteria (pp. 323-336). Il volume si conclude con due lunghe lettere indirizzate da Girolamo Muzio a Vittoria Farnese Della Rovere, duchessa di Urbino, in cui l'autore elogia paradossalmente l'inverno contro l'estate (cfr. M.C. Figorilli, I due libri di lettere facete, et piacevoli (1561-1575), in: “ ‘Meglio ignorante che dotto'. L'elogio paradossale in prosa nel Cinquecento”, Napoli, 2008, pp. 109-110).

Il secondo volume raccoglie 159 lettere e 6 testi satirici, tra cui la seconda edizione della celebre Formaggiata.

“Tra gli anni Sessanta e Settanta la formula della silloge di autori vari aperta ad ampie tematiche di carattere culturale, religioso e politico sembra infatti esaurirsi: se resistono le riedizioni delle Lettere volgari e delle Lettere di tredici huomini illustri, va detto però che d'ora in poi le nuove proposte antologiche saranno caratterizzate da una sorta di ridefinizione o restrizione del registro stilistico o del campo tematico. Un esempio di queste diverse tipologie lo troviamo rispettivamente nelle Lettere facete et piacevoli a cura di Dionigi Atanagi (1561) e nelle Lettere di principi raccolte da Girolamo Ruscelli (1562). La prima antologia, pubblicata a Bologna dallo stampatore Bolognino Zaltieri, è ancora una volta una prova dell'intuizione editoriale dell'Atanagi, inventore della formula dei ‘tredici huomini illustri' e ora creatore di un modello che non solo non puntava più sull'organizzatore per autori, ma includeva, tra i nomi dei mittenti e dei destinatari, anche figure poco note, o quanto meno fino a quel momento rimaste ai margini della repubblica letteraria. In particolare, si trattava di segretari di illustri prelati e di amici dello stesso curatore. Il criterio della raccolta, come si desume dal titolo, è quello del genere: gli aggettivi ‘faceto' e ‘piacevole' rinviano infatti al genere burlesco e alla tradizione della facezia. Del resto, il registro burlesco e giocoso aveva già dei precedenti illustri nelle raccolte epistolari: prima fra tutte quella di Anton Francesco Doni. Nelle sue Lettere aveva ricordato Giolito che ‘tutte le cose che si dicono et che si scrivono non son vere, ma bisogna spregnar la fantasia' […] Tutt'altre caratteristiche ha la raccolta dell'Atanagi: se a tenere insieme 183 lettere, distribuite su un cinquantennio, dal 1507 al 1558, vi è certamente un'unitarietà tematica caratterizzata da aneddoti spiritosi, ‘arguti', ‘piacevoli', ciò non significa che il curatore rinunci alla realtà per la finzione: il legame con la storia, con uomini che erano stati impegnati politicamente e culturalmente, rimane forte, e il titolo della raccolta non deve trarre in inganno […] Atanagi non perde di vista il contatto con il suo tempo, anche se si tratta di epistole che hanno uno scarso legame con l'attualità, essendo la maggior parte di esse riferite agli anni trenta e quaranta e messe insieme, molto probabilmente, sin dai tempi in cui preparava l'antologia del 1554: così si spiega forse ancora la presenza di 18 missive del Sanga, di 9 del Canossa e di ben 37 del Giovio. Ma a parte questo pur importante nucleo di testi, l'elemento più significativo è l'aver accostato autori legati da un forte vincolo di amicizia: in modo particolare Francesco Berni, Giovan Francesco Bini, Giovan Battista Mentebuona, Trifone Benci, Marcantonio Flaminio, Galeazzo Florimonte, Bernardino Boccarini e lo stesso Dionigi Atanagi, che risulta destinatario di lettere del Bini, del Benci e del Boccarini. Le 8 del Flaminio sono indirizzate al Bini (7) e a Carlo Gualteruzzi (1) e coprono gli anni 1538-1541. Escludendo il nutrito gruppo di epistole del Giovio, che si estende fino agli anni Cinquanta, il resto dei carteggi va dagli anni venti agli anni quaranta. Non può sfuggire che l'antologia dell'Atanagi del 1561, come già quella del 1554, forniva ancora una ricca documentazione sul mondo che aveva gravitato intorno al Giberti: in effetti Sanga, Mentebuona, Bini e lo stesso Berni erano stati tutti vicini al vescovo di Verona, come collaboratori o come segretari tra gli anni venti e trenta. La raccolta non aveva soltanto una coerenza tematica, ma intendeva chiaramente ricostruire un ambiente sociale e culturale, che corrispondeva ad un gruppo di amici che in giovinezza aveva condiviso un ruolo […], valori e interessi letterari” (L. Braida, Libri di lettere. Le raccolte epistolari del Cinquecento tra inquietudini religiose e ‘buon volgare', Bari, 2009, pp. 183-186).

“Le Lettere facete ebbero una continuazione in un secondo libro edito nel 1575 dal carmelitano Francesco Turchi che, in un'ampia e dotta lettera dedicatoria, dichiarava di riprendere il progetto di Dionigi Atanagi, lasciato inconcluso […] In realtà la raccolta del Turchi era molto diversa da quella dell'Atanagi: se il letterato cagliese insisteva sul ‘diletto' e sulla ‘gratiosa piacevolezza in grado di rinfrancare l'animo', il carmelitano puntava sulla natura retorica delle lettere, presentate come esempi delle diverse possibilità espressive degli stili oratori […] Ma nonostante lo sforzo di inscrivere l'antologia sotto il segno della retorica, non tutti i testi offerti dal continuatore dell'Atanagi erano collocabili in tale ambito: numerose sono infatti le epistole sotto forma di elogi paradossali, la cui pubblicazione risponde forse all'intento di rimettere in circolazione testi debitamente censurati che potevano rientrare nel genere burlesco, tra cui opere di Annibal Caro e di Giulio Landi. Vi era inoltre una Lode della pazzia che altro non era se non una libera e parziale ripresa del Moriae encomium di Erasmo […] La riproposizione di testi degli anni trenta e quaranta poteva avvenire solo con un'operazione editoriale di autocensura che eliminasse dagli elogi paradossali nomi ormai impronunciabili, come quello dell'Aretino, cancellato da un passo della Pazzia, o che sopprimesse tutti i riferimenti alle religioni percepiti come dissacranti, o ancora tutti i passi osceni presenti, ad esempio, nella versione originale della Formaggiata, e ora del tutto assenti nella versione del Turchi” (L. Braida, op. cit., pp. 190-192).

“La presenza di ben sei elogi paradossali nella raccolta curata da Turchi autorizza una considerazione inerente ai problemi posti dalla stampa e dalle esigenze del mercato editoriale. L'inclusione di lettere-orazioni segna il massimo grado del processo di negazione e rimozione della lettera famigliare di tipo informativo nella genesi del libro di lettere. Al contempo proprio le mirate operazioni di selezione del materiale, che presiedono alla compilazione degli epistolari, forniscono indicazioni sugli orientamenti del mercato editoriale, in rapporto si presume, alla domanda da parte dei lettori: in un volume come quello del Turchi, destinato al largo consumo, l'inserzione di elogi paradossali risponde, con ogni probabilità, all'intento di reimmettere sul mercato, debitamente espurgati, dei prodotti in grado di assolvere senz'altro a funzioni di intrattenimento, i quali conservassero però, al contempo […], una natura di testi alternativi, non annullata, nella sostanza, dalla revisione censoria. Il primo elogio paradossale che si incontra nella raccolta del Turchi è la ‘lode del naso', la cosidetta Nasea o ‘diceria de' nasi', qui fittiziamente attribuita al Barbagigia Stampatore, cioè Antonio Blado, ma in realtà composta dal Annibal Caro nel carnevale del 1538 e pubblicata per la prima volta, l'anno successivo, in appendice al Commento di Ser Agresto da Ficarolo sopra la prima Ficata del padre Siceo […] Allo stesso ambito culturale della Nasea va ricondotto un altro elogio paradossale antologizzato nella raccolta del Turchi, la Formaggiata di Sere Stentato. L'operetta, di cui è autore il piacentino Giulio Landi, venne composta, con ogni probabilità, entro il carnevale del 1539, e stampata ‘in Piasenza per Ser Grassino Formaggiaro' (sotto lo pseudonimo si cela probabilmente Gabriel Giolito de' Ferrari) nel 1542 […] Su un piano diverso rispetto alla Nasea e alla Formaggiata, pur con elementi strutturali e stilistici in comune, si collocano altri tre elogi paradossali presenti nel ‘Libro secondo' delle Lettere facete, che, per affinità tematica – asinità, ignoranza, pazzia –, possono essere ricondotti a un unico orizzonte ‘ideologico': il Valore de gli asini, l'Oratione in lode dell'Ignoranza e la Lode della pazzia. Fonti dirette per i tre testi sono il Moriae encomium di Erasmo e il De incertitudine et vanitate scientiarum di Cornelio Agrippa, che con il capitolo conclusivo Ad encomium asini digressio si pone come modello indiscusso sia per le scritture asinine sia per le lodi dell'ignoranza […] Il Valore degli asini dell'Inasinito Accademico Pellegrino è la seconda redazione, con alcune modifiche, pubblicata a Venezia nel 1558, per i tipi del Marcolini, dell'Asinesca Gloria dell'Inasinito Accademico Pellegrino, data alle stampe nel 1553 (Venezia, per Francesco Marcolini). Resta ancora un margine di incertezza riguardo la paternità, tradizionalmente divisa tra Anton Francesco Doni e Vincenzo Cartari, anche se negli ultimi anni sembra prevalere l'attribuzione a Cartari […] Il tema dell'ignoranza fonte di vera sapienza ci conduce nel nucleo argomentativo dell'altro elogio paradossale incluso nel ‘Libro Secondo' delle Lettere facete, l'Oratione in lode dell'Ignoranza. Anche l'attribuzione di questa operetta, preceduta da una lettera di dedica di Anton Francesco Doni al signor Gregorio Rorario di Pordenone e pubblicata, nel 1551, in appendice alla Vita di Cleopatra Reina d'Egitto di Giulio Landi, presenta delle incertezze. Alla tradizionale attribuzione al Doni sono d'ostacolo le parole che si leggono nella dedica doniana, dove appunto l'opera è presentata come opera del conte piacentino […] Nel ‘Libro Secondo' delle Lettere facete l'Oratione in lode dell'Ignoranza è seguita dalla Pazzia, di cui esistono varie edizioni, per lo più senza nome dell'autore e senza note tipografiche […] Nella raccolta Turchi l'operetta è preceduta da una lettera ‘Al Signor Bernardo Salso' firmata A. Persio. Si tratta di una parziale e libera riscrittura dell'Elogio della follia: il materiale offerto dal testo erasmiano viene adattato alla situazione italiana anche attraverso l'inserzione di riferimenti alla contemporaneità politica […] La raccolta Turchi si conclude con La Pelatina, di cui non figura il nome dell'autore. Come è noto, la fonte delle cinquecentesche ‘lodi della pelatina' era l'elogio della calvizie di Sinesio, che costituiva uno dei più famosi esempi di elogio paradossale dell'antichità. Anche Niccolò Franco scrisse un'Orazione della pelaia, di cui si sono perse le tracce: doveva trattarsi di un capitolo bernesco, composto verso la fine del 1551. Le edizioni Atanagi 1561 e Turchi 1575 presentano interventi censori che si caratterizzano non solo per l'omissione, in alcuni casi, del nome dell'autore o di altri dati referenziali individuanti (come la datazione), ma anche per tagli interni ai testi antologizzati[…] Il testo che esce più stravolto dalla revisione censoria è la Formaggiata, sia per la quantità dei tagli che per l'estensione delle porzioni soppresse (15 luoghi sottoposti a censura, di contro ai 7 del Valore de gli asini, dell'Oratione in lode dell'Ignoranza e della Lode della Furfanteria, ai 5 della Pazzia, ai 2 della Nasea)” (M.C. Figorilli, op. cit., pp. 114-115, 118-119, 122-123, 131, 138, 143-145).

 

Catalogo unico, IT\ICCU\RMLE\012784 e IT\ICCU\BA1E\001767.


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