In folio (mm. 288x204). Il manoscritto è formato da un unico fascicolo di 42 carte, di cui solo le prime 20 carte e il recto della 21ma contengono il testo, tutte le altre sono bianche. Cartoncino originale (mancanze al dorso e al piatto posteriore). Ottima copia.
Copia manoscritta (un'edizione a stampa, oggi molto rara, apparve senza note tipografiche intorno al 1721) di questo testo riguardante la causa del cardinal Giulio Alberoni. L'anonimo autore si avvale, per alleggerire un poco la densa relazione, dell'espediente letterario del dialogo epistolare, quanto mai fittizio, dove lo scrivente previene le domande dell'impaziente Marchese che da tre settimane lo tempesta per sapere a che punto è la causa del cardinale.
Ma di che causa parliamo? Come è possibile che uno dei più abili uomini di potere e diplomatico impareggiabile fosse incappato in una causa e per di più in Vaticano (in realtà le cause erano due, la seconda promossa dai suoi ex amici della corona di Spagna).
L'Alberoni era di umilissime origini, figlio dell'ortolano di un istituto religioso di Fiorenzuola nel ducato di Parma; ortolano egli stesso, attirò l'attenzione del vescovo per la sua vivace intelligenza. Gli fu poi permesso di prendere i voti e gli fu dato posto di canonico nel capitolo della cattedrale.
La carriera dell'Alberoni fu molto rapida. Durante la guerra di successione spagnola (1717-20), una certa dimestichezza con il francese lo fece scegliere come accompagnatore del duca di Bourbon Vendôme, comandante delle truppe francesi in Italia. Giunto in Francia insieme al duca, questi si servì ripetutamente di lui e lo presentò a Luigi XIV, facendogli ottenere una pensione. Il Vendôme lo fece anche suo segretario personale e col suo aiuto riportò Filippo V sul trono di Spagna. Morto il duca mentre i due si trovavano in Spagna, la reputazione acquisita colà valse all'Alberoni la nomina ad agente consolare del ducato di Parma alla corte di Spagna. Divenne ben presto uno dei favoriti del re e dopo la morte della regina (M.L. di Savoia), concluse il suo primo capolavoro diplomatico facendo sposare Filippo V con Elisabetta Farnese, nipote del duca di Parma. Le sue azioni salirono alle stelle: fu nominato primo ministro, poi duca e grande di Spagna. Nel 1717 Clemente XI lo creò cardinale.
Una volta divenuto primo ministro, Alberoni trovò la Spagna in uno stato miserevole. “Trovò affatto in rovina l'Azienda Reale, il commercio, la Marina, l'India abbandonata già da 30 anni alla rapacità degli stranieri. Non truppe, non Armi, non Artiglierie; non denaro che ne veniva dall'India, ed usciva in gran copia dalla Spagna, la quale priva di manifatture abbisognava di tutto fuori di sé (cioè dall'estero)”.
Secondo la presente relazione, il re Carlo II (1665-1700) non poté in certi frangenti neppure uscir di casa né villeggiare e perfino stentò ad avere il pranzo. La regina aveva ordinato delle carrozze a Parigi, che non furono consegnate per mancato pagamento, e, cosa invero curiosissima, i cocchieri fecero uno “sciopero”, ritirandosi in chiesa.
Nei cinque anni scarsi del suo premierato (dal 1715 fino al dicembre 1719) Alberoni diede vita o intraprese numerosissime iniziative industriali, agricole e commerciali, risvegliando la Spagna da un torpore che durava ormai dal 1681 (anno in cui convenzionalmente si fa cessare il Siglo de oro). Cominciò a riformare radicalmente la burocrazia, complicata e farraginosa, voluta per favorire un ceto parassitario che andava dagli uscieri alle più alte magistrature. Introdusse in Madrid le più fini “biancherie da tavola”, facendo venire dall'Olanda degli operai provetti per insegnare a 400 operaie spagnole a tessere con la maestria degli olandesi.
Dopo la sconfitta subita da parte della Quadruplice Alleanza l'Alberoni, che aveva tanto caldeggiato quella guerra, pur ritenendola intempestiva, ne divenne il capro espiatorio. Dopo la sconfitta navale di Capo Passero (1718), in cui la flotta spagnola che era costata tanta fatica ed impegno al cardinale fu quasi totalmente annientata dalla flotta inglese mentre tentava di conquistare la Sicilia, al momento di trattare la pace le quattro potenze chiesero che l'Alberoni fosse allontanato dal governo spagnolo (trattato dell'Aia del 20 febbraio 1720). A fine 1719 l'Alberoni fu esonerato da ogni incarico e invitato a lasciare la Spagna. Seguì un periodo difficile per il cardinale, attaccato dai suoi nemici sia presso la corte spagnola che a Roma, ma egli, tuttavia, a riprova della sua tenacia, partecipò comunque al conclave in cui venne eletto Innocenzo XIII (8 maggio 1721). Certi suoi nemici coniarono per lui l'epiteto di “Cardinal Maomettano” per aver corrisposto col principe ungherese Ragoski, che chiedeva aiuti militari contro la Sublime Porta (p. 17).
La presente Lettera è in realtà non tanto una relazione sulla vita passata, presente e futura dell'Alberoni, quanto piuttosto un'apologia commissionata o forse di mano dello stesso cardinale destinata ad essere letta dai suoi futuri inquisitori. Se accettiamo la data della Lettera (19 luglio 1721), vediamo che da lì a poche settimane l'Alberoni avrebbe contribuito all'elezione di Innocenzo XIII. Negli anni successivi riuscì comunque a riabilitarsi presso la corte romana e nel 1735 fu nominato legato in Romagna. Alberoni morì a Piacenza all'età di 88 anni, lasciando 600.000 scudi per l'erezione del celebre collegio che ancora oggi porta il suo nome.
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