Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta racconto di Massimo d'Azeglio

Autore: AZEGLIO, Massimo d' (1798-1866)

Tipografo: Vincenzo Ferrario

Dati tipografici: Milano, 1833

Formato: in ottavo

Esemplare conservato nelle sue brossure originali

Due volumi in 8vo (mm. 224x147). Pp. [8], 209, [3 bianche]; pp. [8], 238, [2]. Con in totale 8 tavole litografiche fuori testo. Brossure originali stampate (lievi mancanze ai dorsi e agl'angoli). Ottima copia intonsa con barbe conservata in astuccio di tela.

PRIMA EDIZIONE, prima tiratura, recante la prima versione della lettera di Alessandro VI a Cesare Borgia (p. 112 del secondo volume), che successivamente fu censurata dallo stesso autore, il quale provvide a fornire una copia dei fogli della nuova redazione anche agli acquirenti delle copie già esitate.

Nato a Torino da una famiglia nobile e profondamente devota, Massimo d'Azeglio mostrò sin da giovanissimo scarsa propensione per la religione. Passò anzi i primi anni a condurre una vita scapigliata tra Torino, Firenze e Roma. In quest'ultima città nel 1820 decise, mostrando grande sprezzatura delle convenzioni sociali, di dedicarsi alla pittura. Proprio da un quadro nacque l'idea di scrivere un romanzo storico, sul modello di quello del Manzoni, sul celebre episodio della disfida di Barletta, che il D'Azeglio, trasferitosi a Milano nel 1831 con lo scopo di imparare dal celebre scrittore (di cui da lì a poco sposerà la figlia Giulia), reinterpretò in termini patriottici. Ettore Fieramosca uscì a Milano per tipi di Vincenzo Ferrario nel 1833, ottenendo un successo strepitoso, grazie soprattutto alla figura quasi fanciullesca di Fanfulla, per altro personaggio secondario.

Dal 1845 D'Azeglio si dedicò attivamente alla politica, prendendo in mano la direzione del movimento liberale in Romagna. Dopo un celebre colloquio con Carlo Alberto di Savoia, nel 1847 approdò a Roma, dove ottenne un incontro con il neoeletto Pio IX e divenne l'anima del movimento moderato. Nello stesso anno, a Firenze, pubblicò la Proposta d'un programma per l'opinione nazionale italiana, in cui codensava tutto il suo operato di quel periodo, sostenendo l'indipendenza dell'Italia, spronando il papa alle riforme e Carlo Alberto all'azione.

Dopo il 1848, in cui combatté in prima persona, venendo ferito a Monte Berico vicino Vicenza, fu nominato presidente del consiglio dei ministri del regno sabaudo, carica che mantenne fino al ‘52, quando fu sostituito da Cavour.

Negli anni seguenti D'Azeglio continuò a rivestire ruoli politici e ad avere una certa influenza su Vittorio Emanuele II, di cui, si può dire, era stato il primo mentore politico. Tuttavia la sua posizione si andava allontanando sempre di più da quella del re e del suo primo ministro, soprattutto perché egli riteneva prematura l'unificazione del nord con il sud e non concordava con il passaggio della capitale da Torino a Firenze, e tantomeno a Roma.

Nel 1863 cominciò a scrivere i suoi Ricordi, che riuscì a condurre solo fino al colloquio avuto con Carlo Alberto nel 1845, prima che la morte lo cogliesse il 15 gennaio del 1866.

Dietro un'apparente trascuratezza e negligenza da artista, D'Azeglio fu uomo di profondi ideali etico-politici e la sua azione in quei delicati frangenti della storia italiana fu senz'altro decisiva.

Catalogo unico, IT\ICCU\TO0\0710441; Parenti, Rarità, I, p. 188 e sgg.


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